La legge 392/1978 tutela in vari modi l’affittuario di immobili ad uso commerciale (nel linguaggio giuridico conduttore, mentre il proprietario è definito locatore) .

Una tra le tutele più importanti è il diritto di prelazione sull’acquisto dell’immobile (esiste anche una prelazione sulla nuova locazione, ma non è oggetto di questo post).

L’art. 38 della l. 392/78 prevede che “Nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario. Nella comunicazione devono essere indicati il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l’invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.

La comunicazione prevista dall’art. 38 deve quindi essere notificata a mezzo ufficiale giudiziario e deve contenere tutti i dati significativi dell’offerta (non solo il prezzo, ma – ad esempio – anche condizioni e termini di pagamento).

Il conduttore ha 60 giorni dalla data di ricevimento della notifica per decidere se vuole acquistare  l’immobile alle condizioni indicate nella comunicazione. In caso affermativo, deve  comunicare la sua decisione tramite ufficiale giudiziario (art. 38,comma 3). Deve poi versare al venditore il prezzo entro il termine fisssato dal comma 4, che – con una frase un po’ bizantina – lo fissa in novanta giorni dal ricevimento della prima comunicazione (quella con la quale il locatore aveva avvertito il conduttore di essere intenzionato a vendere).

Sin qui, tutto apparentemente semplice, anche se esistono, come sempre, eccezioni a queste regole: più precisamente ci sono casi in cui l’inquilino non ha diritto di prelazione (quando vi sia una preesistente prelazione di coeredi, in caso di vendita in blocco dell’intero edificio, o di vendita  al coniuge o a parenti stretti del proprietario).

Per entrare in funzione, il meccanismo che abbiamo visto entra richiede che il proprietario comunichi all’inquilino la sua intenzione di vendere. Il proprietario potrebbe quindi  impedire  all’inquilino di esercitare il suo diritto non comunicandogli la sua decisione di vendere l’immobile. Per superare questo problema, il successivo l’art. 39 della l. 392/78 prevede a favore del conduttore il diritto di riscatto. Se non gli viene notificata la comunicazione di cui all’art. 38 (o se la vendita avviene, poi, ad un prezzo inferiore a quello che gli è stato comunicato), l’inquilino può – entro sei mesi dalla trascrizione della vendita –  riscattare l’immobile dall’acquirente o da coloro che lo abbiano eventualmente da lui acquistato. L’acquirente può ovviamente opporsi al riscatto, caso in cui la questione viene risolta dal Tribunale.

Ma, come la solito, fatta la legge si cerca (e si trova)  l’inganno. Il termine di sei mesi per il riscatto decorre dalla data in cui la vendita è stata trascritta  nei registri immobiliari. Si tratta di registri pubblici tenuti dall’agenzia del territorio (ex conservatoria dei registri immobiliari), consultabili  da qualsiasi cittadino recandosi presso l’apposito sportello.

In pratica, a nessun conduttore viene in mente di farlo se non ha ragione di sospettare che l’immobile sia stato o stia per essere venduto. Nella maggior parte dei casi, è quindi sufficiente che venditore e acquirente agiscano in modo da evitare che l’inquilino sospetti l’avvenuta vendita. Venditore e acquirente possono, ad esempio, omettere qualsiasi comunicazione al riguardo e lasciare che il canone continui ad essere incassato dal venditore o dall’agenzia immobiliare. Dal punto di vista del conduttore, nulla sembrerebbe cambiato.  Come potrebbe, in questa situazione, immaginare che l’immobile è stato venduto? Insomma, al venditore e all’acquirente basta tacere per sei mesi dopo la trascrizione della vendita e… il gioco è fatto: addio prelazione!

Mi sembra però chiaro che, quando si organizza una simile manfrina, ci si rende responsabili di comportamenti non proprio corretti. Ci sono conseguenze? Si potrebbe, ad esempio,  ritenere che, quando il riscatto viene  impedito da comportamenti dolosi o colposi di venditore e acquirente, l’inquilino possa esercitarlo anche dopo i sei mesi dalla data di trascrizione dell’atto – ad esempio entro sei mesi dal momento in cui venga a conoscenza della vendita.

La Corte Costituzionale (sentenza 228/90)  ha però ritenuto insuperabile il dato testuale della legge. Secondo la Consulta è ragionevole che  l’art. 39 ponga di fatto a carico dell’inquilino l’onere di consultare periodicamente i registri immobiliari. La Corte ha dunque confermato che, in ogni caso, il riscatto va esercitato entro sei mesi dalla trascrizione della vendita. Va effettivamente riconosciuto che, in caso contrario si sarebbero create situazioni di incertezza destinate a trascinarsi anche per diversi anni.

In questi casi, quindi, l’inquilino ha diritto al solo risarcimento del danno causato dal comportamento ingannevole (o omertoso) del venditore e/o dell’acquirente. Non è facile vincere una causa di questo tipo.

Occorre dimostrare

  • che ci sono stati comportamenti dolosii o colposi del venditore e/o dell’acquirente che hanno indotto in errore l’inquilino;
  • che a seguito di questi comportamenti il conduttore è stato indotto a non controllare se l’immobile fosse stato venduto presso l’Agenzia del Territorio;
  • che dal mancato acquisto dell’immobile è derivato al conduttore un danno, che va rigorosamente individuato e quantificato come in qualsiasi causa risarcitoria.

E’ facilmente immaginabile con quante e quali difficoltà. Una causa riscarcitoria è, evidentemente, di un rimedio piuttosto minimale che, nel concreto, porta a risultati insufficienti a dare una concreta garanzia al diritto di riscatto del conduttore.

In conclusione, il consiglio migliore che si può dare è quello di avere la massima attenzione e ad effettuare, comunque, periodici controlli dei registri immobiliari.