Si dice che il proprietario di un immobile “ce l’ha dalla parte del manico” solo finché il contratto di locazione non è firmato.
Dopo, è praticamente legato mani e piedi ai “capricci” dell’inquilino.
Naturalmente, le cose non stanno proprio così.
Resta però il fatto che nelle locazioni ad uso commerciale (per attività industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico e attività di lavoro autonomo) il conduttore è particolarmente tutelato.
La prima garanzia è che il contratto di locazione ha una durata minima di sei anni (art. 27 della l. 392/78). La sola eccezione sono le attività che hanno, per natura, carattere transitorio.
Si tratta di una norma imperativa: questo significa che ogni diversa pattuizione tra le parti resta lettera morta, perché alla volontà di proprietario ed inquilino si sostituisce comunque quella della legge.
Va poi aggiunto che. ad ogni scadenza, il contratto di locazione si rinnova automaticamente per un ulteriore periodo di sei anni (art. 28), a meno che una delle parti non dia disdetta con lettera raccomandata almeno dodici mesi prima.
L’inquilino è poi favorito da un’importante eccezione a questa regola.
Alla prima scadenza del contratto, il proprietario può dare disdetta solo
– se intende adibire l’immobile ad abitazione o allo svolgimento di un’attività commerciale sua o del coniuge o di parenti entro il secondo grado in linea retta (dunque figli, nipoti, genitori, nonni);
– se intende demolire l’immobile o effettuarvi importanti interventi di ristrutturazione.
L’art. 29, in effetti disciplina in modo è molto più dettagliato ciascuna di queste ipotesi, ma credo che quanto detto basti per dare una prima idea dei suoi contenuti.
E’ importante sapere che, se vuole interrompere il contratto alla prima scadenza, il proprietario deve specificare nella lettera raccomandata di disdetta quale sia, tra quelli tassativamente indicati dalla legge, il motivo sul quale la disdetta e’ fondata (così, ancora, l’art. 29)
La possibilità per il proprietario di disdire il contratto dopo i primi sei anni è dunque soggetta a limitazioni molto serie.
Questo significa che, in pratica, la durata di un contratto di locazione commerciale diventa, quasi sempre, di (almeno) dodici anni.
Va, poi, aggiunto che il successivo art. 31 prevede delle sanzioni molto severe per i “furbi”.
Chi dichiara di voler utilizzare direttamente l’immobile destinandolo ad abitazione o ad attività commerciale sua, del coniuge o dei suoi parenti ha 6 mesi di tempo per farlo realmente.
Se non questo non accade, il conduttore ha diritto
– al ripristino del contratto salvi i diritti dei terzi in buona fede (ad esempio un nuovo conduttore che non sapesse che il proprietario ha mentito per liberare l’immobile) e al rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri sostenuti
oppure
– al risarcimento del danno sino ad un massimo di 48 mensilità di canone.
Inoltre, il proprietario viene condannato dal giudice a versare al Comune una somma (sia pure modesta) che viene devoluta al fondo sociale per l’integrazione dei canoni di locazione per i meno abbienti.
La stessa sorte tocca, ovviamente (sia pure con modalità leggermente diverse) a chi non esegua i lavori che aveva dichiarato di voler eseguire.
Si tratta, dunque, di un sistema decisamente severo verso il proprietario.
La ragione di questa scelta legislativa va ricercata nell’art. 41 della Costituzione, che esplicitamente prevede la funzione sociale della proprietà.
Nel caso degli immobili commerciali, questa funzione sociale si identifica con il favore per il loro effettivo e conveniente utilizzo per lo svolgimento di attività produttive.
In effetti, l’avvio di un’attività o il suo trasferimento richiedono importanti investimenti.
Questi investimenti, per essere utilmente impiegati, devono essere ammortizzati in un periodo di tempo sufficientemente lungo.
Questa è la ragione per cui si prevede una durata minima dei contratto di locazione commerciale e per la quale si vuole evitare che la loro continuità dipenda – semplicemente – dalla possibilità, per il proprietario, di stipulare un contratto più conveniente con un altro conduttore; o di minacciarlo per richiedere continui aumenti del canone che impedirebbero qualsiasi seria programmazione dell’attività d’impresa.
Considerazioni analoghe spiegano altri norme a tutela dell’attività del conduttore, come il diritto di prelazione (e di riscatto) e l’indennità di avviamento.
Ne parleremo nelle prossime occasioni.
P. S. se il contratto di locazione riguarda un immobile ad uso alberghiero, tutti i “numeri” del contratto (a partire dalla sua durata minima) vanno aumentati del 50%.
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