Uno dei punti dolenti, per non dire il punto dolente dei rapporti tra avvocato e cliente è quello dei compensi. Sino a qualche anno fa gli onorari e i diritti degli avvocati erano indicati da una tariffa approvata dal ministero.

La tariffa era dettagliatissima, ma tanto complicata da rendere praticamente impossibile sapere quello che sarebbe costata una causa.  Anche perché, per ogni attività, prevedeva non solo un importo minimo e uno massimo degli onorari, ma anche la possibilità di praticare alcune ulteriori maggiorazioni. Insomma: quanto chiedere, alla fin fine, lo decideva proprio l’avvocato ed era difficile capire quando “il prezzo era giusto”.

Soprattutto, questa tariffa forense era obbligatoria. O almeno, l’avvocato era obbligato a chiedere al cliente almeno le cifre minime  Dunque, gli ulteriori sconti duravano sinché si andava d’amore e d’accordo. Se qualcosa andava storto  erano guai grossi: l’avvocato a quel punto si rimangiava riduzioni e ribassi e chiedeva al cliente ogni singola lira che gli era dovuta in base alla tariffa.  E, se si impuntava, la otteneva.

Poi, sono arrivati i nostri (?). Che, in questo caso hanno il doppiopetto e il naso all’insù dei burocrati di Bruxelles. In nome del mercato hanno detto: basta minimi obbligatori, ognuno faccia il suo prezzo e il cliente scelga liberamente chi fa la migliore offerta. Dopodiché, non tutto è andato dritto.  Nel senso che sull’abolizione dei minimi tariffari  un po’ di confusione (sì li togliamo, no li rimettiamo, anzi togliamoli e basta) c’è pure stata. Ad oggi, giusto per chiarire, non ci sono più.

E allora? Allora, la quantificazione dei compensi è lasciata all’accordo tra avvocato e cliente. Ci si parla: l’avvocato chiede una cifra spropositata;  il cliente offre una miseria; e poi… o ci si mette d’accordo, o ognuno va per la sua strada.

A volte capita però che il discorso non venga proprio affrontato. Cosa succede in questi casi? Come si determinano i compensi dovuti al proprio avvocato? Ecco spuntare non più l’antica tariffa ma le tabelle allegate al D. M. 55/2014. Queste tabelle, in realtà sono state create per i giudici. Dovete sapere che chi vince una causa, ha diritto al rimborso delle spese legali. L’ammontare del rimborso che lo sconfitto deve al vincitore deve essere deciso dal giudice, che per farlo utilizza proprio queste tabelle.

La legge prevede però che con allo stesso modo si devono calcolare i compensi dell’avvocato quando non c’è un accordo con il cliente.

 Provo a spiegare come si applicano le tabelle. Le cause sono distinte per organo giudicante (ad es.: Giudice di Pace, Tribunale, Corte d’Appello, TAR…) e, in alcuni casi, per oggetto (ad es.: cause in materia di lavoro). C’è una tabella per ogni tipo di causa. Ecco, ad esempio, la tabella per le cause davanti al Tribunale Civile:

cattura

Come vedete ci sono varie fasce di valore. Prendiamo, ad esempio, una quella da 26.000 a 52.000 euro.  I compensi spettanti all’avvocato per ciascuna fase di una causa che rientra in questa fascia di valore variano da un minimo a un massimo. Vengono quantificati  in una cifra compresa tra  questi due valori tenendo conto del valore e alla difficoltà della causa.

Provo a chiarire con un esempio. Nel nostro caso, i compensi per una causa di scarsa difficoltà del valore di 26.001,00 euro saranno quelli minimi. E dunque: 810,00 euro per lo studio della pratica,  573,00 euro per l’introduzione della causa (preparazione e notifica della citazione, deposito in Tribunale, ecc.), 516 euro per l’istruttoria (audizione dei testimoni, perizie…) e 1.383 euro per la fase della decisione (memorie conclusionali, discussione orale, ecc.). Il conto totale sarebbe di 3.283 euro. Al contrario, per una causa molto difficile e del valore di 52.000,00 euro si applicheranno gli importi massimi. Si tratta di: 2.916,00 euro per lo studio,  2.064,00 euro per l’introduzione della causa, 3.440,00 euro per l’istruttoria e 4.980,00 euro per la fase della decisione. Il conto totale sarebbe di 13.400,60 euro.

Come vedete, c’è una bella differenza: si sale da 3283,00 euro a 13.400,00 euro. Il problema, dunque, è che questa “forchetta” è molto ampia. Come si decide qual è l’ammontare dei compensi per una causa di valore, poniamo di 15.000,00 euro e di difficoltà media?  5.000 euro?  8.000 euro? 10.000 euro?  Se dipendesse solo dal valore della lite, sarebbe  tutto abbastanza chiaro: si potrebbe fare una semplice proporzione matematica. Ma, come abbiamo visto, si deve tenere conto anche della difficoltà della causa. La sua valutazione è, invece, molto soggettiva e – soprattutto – di difficile comprensione per il cliente (si dovrebbe tener conto delle questioni giuridiche, della complessità dell’istruttoria, ecc. ecc.). Eccoci, dunque nuovamente nella zona dell’ imprevedibilità.

A questo punto, è evidente che c’è un’ottima ragione per chiarire bene, sin dall’inizio, i compensi che spetteranno al vostro avvocato. Se non lo si fa si rischia, anche oggi come in passato, di trovarsi in una situazione di grande incertezza.  Dunque, meglio fare sin dall’inizio la fatica di mettersi d’accordo.

E non diffidate del vostro avvocato se vi propone di firmare (come si dovrebbe) un vero e proprio contratto. Un rapporto chiaro e trasparente è sempre nell’interesse di tutti e due.